Colagrossi Angelo


ROMA 1960


Ancora adolescente inizia a frequentare lo studio del pittore-scultore Valente Assenza, frequenza questa che dura alcuni anni impegnati per lo più nella pratica del disegno. Conseguita la maturità si iscrive prima al Corso Libero del Nudo presso l’Accademia di Belle Arti di Roma allora diretto da Giulio Turcato, poi alla Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Roma La Sapienza, laureandosi in Studi Storico Artistici. La sua attività espositiva ha inizio nel 1985 nelle sale di Palazzo Valentini a Roma. Da allora, più di cento mostre si sono tenute in molte città italiane, in spazi pubblici e privati. Vive e lavora tra Roma e Todi.

Mostre personali

1986
Studio Ennio Calabria, Roma.
Palazzo Valentini, Roma.
1987
Galleria Il Faro Centro d’Arte, Belvedere Marittimo (CS).
1988
Galleria Lombardi, Roma.
1990
Galleria Ca’ d’Oro, Roma.
1991
Galleria De Clemente, Brescia.
Galleria Genus, San Benedetto del Tronto (AP).
Galleria La Vetrata, Roma.
1992
Palazzo dei Congressi, 4° Salone d’Arte Moderna e contemporanea, Roma.
Galleria del Corso, Latina
Galleria La Stadera Centro d’Arte, Pescocostanzo (AQ).
1993
Galleria Lombardi, Roma.
Galleria Il Faro Centro d’Arte, Belvedere Marittimo (CS).
Galleria Il Triangolo, Cosenza.
Convento Domenicano, 6° Festival Mediterraneo, Altomonte (CS).
1994
Palazzo Acito, Sasso Barisano, Matera.
1995
Galleria Il Segno Contemporaneo, Brindisi.
Galleria La Vetrata, Roma.
Galleria Lazzari, Roma.
1996
Galleria Devoto, Genova.
Galleria De Clemente, Brescia.
1997
Galleria Spazio Arte, Perugia.
Arte Roma, Galleria Ca’ d’Oro, Roma.
1998
Galleria Monopoli Arte Contemporanea, Pavia.
Galleria Lombardi, Roma.
Galleria APT Sistiana,Trieste.
Galleria Genus, San Benedetto del Tronto (AP).
1999
Galleria La Vetrata, Roma.
2000
Ancona Arte, Ancona.
Contemporanea, Forlì.
2001
Arte Fiera, Udine.
Contemporanea, Forlì.
2002
Alitalia, Sala Freccia Alata, Aeroporto Milano Malpensa, Milano.
Galleria Mari Arte Contemporanea, Imbersago (LC).
Galleria Perlini Arte, Reggio Calabria.
Contemporanea, Forlì.
Galleria Ca’ d’Oro, Roma.
2003
Galleria Ferrari, Ferrara.
Galleria Genus, S.Benedetto del Tronto, (AP).
KPMG Sede di Berlino, Berlino.
Galleria Lombardi, Roma.
2004
Galleria Pancaldi, La Notte Bianca “Alberi d’Argento”, Roma.
La Cassa – Cassa di Risparmio di Ravenna, “Energia Contemporanea”, Ravenna.
Fiera di Forlì, “Energia Contemporanea”, Forlì.
2005
Palazzina Azzurra, S.Benedetto del Tronto, (AP)
Galleria Edarcom Europa, Roma.
2006
Arte Fiera, Bergamo.
Galleria La Vetrata, Roma.

Mostre collettive

1986
Fortezza Michelangelo, Civitavecchia (RM).
Palazzo Venturi, Campagnano (RM).
1988
Istituto S. Michele a Ripa, “L’Arte contro l’AIDS”, Roma.
Ex Borsa in Campo Boario, “Dodicimenotrentacinquesecondo, giovani artisti a Roma”, Roma
Galleria Ca’ d’Oro, “E se Roma”, Roma.
1989
Palazzo dei Congressi, “1° Salone d’Arte Moderna e Contemporanea”, Roma.
Villa Doria Pamphili Palazzina Corsini, “Arcadia perduta”, Roma.
Museo Centrale del Risorgimento, “Arte e Ambiente”, Roma.
1990
Galleria Ca’ d’Oro, “L’Arte per l’Ecologia”, Roma.
Galleria Laura Son, Genova.
1991
Galleria Incontro d’Arte, “Il Sogno di Colombo”, Roma.
Sala I-Salaam, “Escursus d’Arte per i bambini palestinesi”, Roma.
1992
Ippodromo Capannelle, “A Cavallo dell’Arte”, Roma.
XIX Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea, “Premio Sulmona”, Sulmona.
1994
Accademia d’Egitto, “Paralleli 2”, Roma.
Palazzo della Corgna, Castiglione del Lago (PG).
Italia Egitto Arte, “Due Culture Mediterranee”, Il Cairo.
Galleria Lazzari, Roma.
1995
A.R.G.A.M., “Primaverile Romana”, Roma.
Comune di Gallicano, “Arte tra le mura”, Gallicano nel Lazio.
Galleria O Art Gallery Internet, Roma.
1996
Sala della Disciplina, “Arte per la Speranza”, Anguillara Sabazia (RM).
Galleria Ammiraglio Acton, Milano
Galleria MediArte, “Lì dove giunge il cuore”, Caserta.
1997
Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie, “Segnalazioni”, Roma.
Galleria Spazio Arte, “Fascino della femminilità esteriore”, Perugia.
Ex Mattatoio di Testaccio, “L’Arte a Roma”, Roma.
1998
Studio Oggetto, O.B.A., Milano.
Palazzo Cambiasso, “Hop altrove”, Genova.
A.R.G.A.M., “Primaverile Romana”, Roma.
Centro Internazionale di Fisica Teorica, Abdus Salam,
“Light”, Grignano (TS).
Chiesa Santa Croce, “Forma e memorie”, Tuscanica (VT).
Galleria Castiglione, Bologna.
Fiera di Sett Dulur, “Libri mai visti”, Russi (RA).
Galleria Folini, Lugano (CH).
Santa Maria Gualtieri, “MAC”, Pavia.
1999
Galleria Nieder Hauser, Losanna (CH).
Expò Arte, Bari.
Comune di Rocca di Cave, “Festoni drappi e feste”, Rocca di Cave (RM).
2000
Expò Bari, Bari.
Premio Morlotti, Imbersago (LC).
2001
Vicenza Arte, Vicenza.
Expò Bari, Bari.
Udine Artefiera, Udine.
Carrara Arte, Carrara.
Arte Fiera, Padova.
Premio Morlotti, Imbersago (LC).
2002
Fiera di Udine “Artefiera”, Udine.
Primaverile Romana A.R.G.A.M. 2002, “Faccia a faccia-Artisti in vetrina”, Galleria La Vetrata, Roma.
2003
Accademia d’Egitto “Arte a Roma Italia Egitto”, A.R.G.A.M.-Accademia d’Egitto, Roma.
Alitalia per l’Arte - Giffoni Film Festival, “Un mondo di immagini per chi immagina il mondo”, Convento di San Francesco, Giffoni (SA).
Alitalia per l’Arte - Sala Club Ulisse, Aeroporto Leonardo da Vinci, Roma.
2004
Fondazione Michetti - LV Premio Michetti “Mito e realtà - Uno sguardo ad oriente”, Palazzo San Domenico, Museo Michetti, Francavilla al Mare (PE).
Fiera di Viterbo “Vitarte”, Viterbo.
Forlì Fiera “OTIUM, prego si accomodi”, Forlì.
Riparte “Decimo anniversario - Ten Year Anniversari”, Roma.
Galleria Pancaldi, “Ceccobelli - Colagrossi - Frangi”, Roma.
2005
Fiera di Viterbo “Vitate”, Viterbo.
Traforo Via Nazionale “Sagome”, Roma
Complesso Monumentale del Vittoriano “Salone di Maggio. Roma luoghi e colori”, Roma.
Galleria Pancaldi “BLACK”, Roma.
XVIII Rassegna Nazionale d’Arte Contemporanea “Città di Campomarino 2005”, (I°Premio), Campomarino (CB).
Premio Nazionale di Pittura “Sabaudia - Ferruccio Ferrazzi” III Edizione, Sabaudia (LT).
“XXXII Premio Sulmona 2005”, Sulmona (AQ).
Villa Pisani “Generazionalmente”, Patti (ME).
Galleria il Faro “Generazionalmente”, Belvedere Marittimo (CS).
Galleria Edarcom Europa “Generazionalmente”, Roma.
Galleria Il Narciso “enerazionalmente”, Roma.
Galleria della Tartaruga “Generazionalmente”, Roma.
Galleria La Vetrata “Generazionalmente”, Roma.
2006
Galleria Pancaldi “Imperfetto, il furto al paesaggio”, Roma.

BIBLIOGRAFIA

Cataloghi monografici

MICACCHI DARIO, Angelo Colagrossi “Colori e forme della vita quotidiana sospesa tra amore e ansia”, catalogo mostra Palazzo Valentini, Roma, Roma 1986.
ATTARDI UGO, CALABRIA ENNIO, GUZZI DOMENICO., Angelo Colagrossi, catalogo mostra Galleria Enrico Lombardi, Roma, edizioni della galleria, Roma 1988.
APULEO VITO, Colagrossi, catalogo mostra Galleria Ca’ d’Oro, Roma, edizioni della galleria, Roma 1990.
PANCALDI PAOLO, Angelo Colagrossi, catalogo mostra Galleria De Clemente, Brescia, edizioni della galleria, Brescia 1981.
MASCARETTI ANTIMO, Angelo Colagrossi, “lontano i clamori del tempo”, catalogo mostra Galleria d’arte Genus, S. Benedetto del Tronto (An) 1991.
LUNETTA MARIO, Colagrossi, catalogo mostra Galleria La Vetrata, Roma, edizioni della galleria, Roma 1991.
COSTANTINI COSTANZO, Colagrossi: “Il miragio della totale libertà espressiva”, Edizioni Marcon, Roma 1992.
NICOLETTI PINO, PALUMBO FRANCO, Angelo Colagrossi, catalogo mostra Palazzo Acito-Sasso Barisano, Matera 1994.
REGHINI DI PONTREMOLI LIDIA, “Brocanteur”, in Colagrossi-Carte, Edizioni 2P Arti Visive, Roma 1994.
ASLAN SISSI, Colagrossi, “Frammenti di vita quotidiana”, Edizioni Sted, Roma 1997.
MARSIGLIA LUIGI, Angelo Colagrossi, “Il cerchio come forma instabile del mondo”, catalogo mostra “Equilibrio dell’instabilità”, Galleria Mari Arte Contemporanea, Imbersago (LC) 2002.
BENINCASA CARMINE, “Nel paese delle meraviglie”, COLAGROSSI ANGELO, “Nel mio vortice”, edizione Cahiers d’Art s.r.l., Roma 2002.

Testi e Articoli

BALDINI JOLENA, (Berenice), “Un angelo a studio di Calabria”, in Paese Sera, 30.3.1986.
MICACCHI DARIO, senza titolo, in L’Unità, 16.5.1986.
CENTI ELISABETA, Angelo Colagrossi, in Proposte, 11.5.1988.
SELVAGGI GIUSEPPE, “I nuovi giovani: densità d’esistere nella pittura di Angelo Colagrossi”, in Giornale d’Italia 16.7.1988.
ANSELMETTI FERDINANDO, Angelo Colagrossi, in Quelli che Contano, vol.4°, Marsilio Editori, Venezia 1988.
GUZZI DOMENICO, Angelo Colagrossi, in “E se Roma”, catalogo mostra Galleria Ca’ d’Oro, Roma, edizioni della galleria, Roma 1988.
LATINI GIANLEONARDO, Angelo Colagrossi, in “Arcadia perduta”, catalogo mostra, Palazzina Corsini, Roma 1988.
PROIETTI GIANFRANCO, Angelo Colagrossi, in Arte e Ambiente, catalogo mostra, Museo Centrale del Risorgimento, Roma 1988
SELVAGGI GIUSEPPE, “Il pittore Colagrossi: no alla ricerca di fornitura” in Il Giornale d’Italia 10.9.1988.
APULEO VITO, “Al Campo Boario ancora un mese giovane”, in Il Messaggero, 1.11.1988.
CAPPELLETI MARIO, “Giovani artisti a Roma”, in Proposte, novembre 1988.
SELVGGI GIUSEPPE, “Se Roma è questa”, in Il Giornale d’Italia 17.12.1988.
ATTARDI UGO, Angelo Colagrossi, in
“Dodicimenotrentacinquesecondo giovani artisti a Roma”, catalogo mostra Ex Borsa in Campo Boario, Roma 1988.
TORENTE MARIA, Angelo Colagrossi, in “L’Arte per l’Ecologia”, catalogo mostra Galleria Cà d’Oro, Roma, edizioni della galleria, Roma 1990.
CORBI ANNA MARIA, Angelo Colagrossi, in Proposte, 31.5.1990.
COSTANTINO EDOARDO, Angelo Colagrossi, in Proposte, 31.5.1990.
ADDAMIANO ANNA, Angelo Colagrossi, in Mondo Barca, dic.1990. GUZZI DOMENICO, Angelo Colagrossi, IN “Il Sogno di Colombo”, catalogo mostra Galleria Incontro d’Arte”, edizioni della galleria, Roma 1991.

CIVELLO RENATO, “Le lucide visioni di Angelo Colagrossi”, in il Secolo d’Italia, 2.2.1993.
APULEIO VITO, “Colagrossi alla Lombardi”, in Il Messaggero, 18.2.1993.
COSTANTINI COSTANZO, “Quando l’Arte va in crisi”, in Arte In, aprile 1993.
SELVAGGI GIUSEPPE, “Colagrossi: nel segno dei maestri contemporanei”, in Il Giornale d’Italia 22.2.1993.
LUNETTA MARIO, Colagrossi,in “Tra i miti e la poesia Angelo”, in Roma ieri oggi domani, novembre 1993.
COSTANTINI COSTANZO, “Comme un prelude a l’Abstraction”, in The Best, 1994.
DI PAOLA SILVIA, “Tante figure di donna per inaugurare la Galleria Lazzari”, in l’Informazione, 11.12.1994.
APULEO VITO, A.R.G.A.M., Primaverile romana, catalogo mostra A.R.G.A.M., Roma. 1995.
VENTURI LUCA M. “Senza cuore – Io cuore enne ipsilon”, catalogo mostra, Edizioni Ammiraglio Acton, Milano 1996.
SCIASCIA C. ROBERTO, “Lì dove giunge il cuore: i battiti continueranno sino all’undici gennaio”, in Edizioni di Caserta, Caserta 27.12.1996.
SELVAGGI GIUSEPPE, “Pittura di Angelo e impasto di Eros”, in Il Giornale d’Italia 10.6.1998.
PANCALDI PAOLO, “L’Imponderabilità dell’arte” in Cultura viva, dicembre 1998.
ROSADA BRUNO, “In titolo veritas – Inquietudine e ricerca nella pittura di Angelo Colagrossi”, in Arte in, dicembre 2002.
BALDIN LUCA, “Il senso della fisicità”, in Arte in, aprile/maggio 2002.
FOTI ANNA, “L’umanesimo concettuale di Colagrossi “, in Il Domani, 22.5.2002.
CIVELLO RENATO, “Faccia a faccia sull’arte”, in il Secolo d’Italia, 26.5.2002.
SASSI EDOARDO, “Trenta artisti per l’Argam - <<Primaverile>> in quattordici gallerie, da Mimmo Rotella a Colagrossi”,in il Corriere Della Sera, 4.6.2002.
DI STEFANO GIUSEPPE, “Le figure di Colagrossi e i totem del caos”, in il Corriere Della Sera, 14.11.2002.
TARANTINO ANNA MARIA, “Mostra personale di Angelo Colagrossi alla Ca’ d’Oro – Frammenti di percorsi”, in Il Tempo, 15.11.2002.
SELVAGGI GIUSEPPE, “Il pittore Angelo Colagrossi espone alla Ca’ d’Oro di Piazza di Spagna – Un ciclo sull’Annunciazione”, in Il Giornale d’Italia, 16.11.2002.

Documenti televisivi

NOTARANGELO DOMENICO, “Toccata e fuga”, T.R.M.,1994.
PALUMBO FRANCO, “Colagrossi”, T.B.M.,1994.
PONTI HILDE, “Colagrossi”, G.B.R.,1993.
WEITSCHEK MICHAEL, “Colagrossi”, cortometraggio della televisione tedesca A.R.D., 1994.

A seguito alcuni TESTI + una INTERVISTA

Dalla continuità alla frantumazione caotica:
la pittura di Angelo Colagrossi

Ciò che io perseguo al di sopra di tutto è l’espressione.
Talvolta mi è stata riconosciuta una certa competenza tecnica, pur dichiarando che le mie ambizioni erano modeste e non andavano al dì là della soddisfazione di ordine puramente visivo che può procurare la vista
di un quadro. Ma il pensiero di un pittore non può essere valutato prescindendo dai suoi mezzi, in quanto
ha valore solo se è compensato da mezzi che devono essere tanto più completi (e per completi intendo non complicati) quanto più è profondo il suo pensiero.
Non posso fare distinzioni tra il sentimento che ho della vita e il modo in cui la traduco.

(Henri Matisse)


In un saggio del 1947 (La Pittura), Lionello Venturi affermava che per “intendere”un dipinto, “anche un capolavoro”, “bisogna guardarlo spregiudicatamente, con la nostra attuale esperienza dell’arte”. Nel fornire le coordinate per raggiungere una “critica matura”, lo stesso Venturi ricordava che, nella lettura dell’opera, “se prevale la sensibilità, il critico obbedisce agli impulsi del momento e corre il rischio di lasciar prevalere nel giudizio il contingente sull’eterno; ma se prevalgono le idee, che tendono a diventare leggi e regole, quel che si perde è la realtà artistica,ch’è sempre varia e nuova e non obbedisce ad alcuna legge. Per troppo amore all’eterno e troppa paura del contingente, si perde l’uno e l’altro e non rimane che il vuoto”.
Nel caso di Angelo Colagrossi “il contingente” assume una doppia valenza: mantiene il suo ruolo di preziosa coordinata critica, ma è anche e soprattutto uno degli elementi, forse il principale, che ha ispirato la realizzazione delle sue opere. E se nel lavoro del critico il contingente garantisce l’aderenza “alla realtà artistica, ch’è sempre varia e nuova e non obbedisce ad alcuna legge”, lo stesso discorso coinvolge in pari misura gli artisti, che da sempre attingono e interpretano liberamente l’infinità degli spunti offerti loro dalla realtà, dal proprio presente. D’altro canto, non è forse nell’esercizio ermeneutico, pur nella differenza delle prassi operative, che le figure dell’artista e del critico trovano un punto di tangenza?
Colagrossi, da sempre fedele a una figurazione inseribile nel contesto del realismo contemporaneo, da circa due anni ha iniziato a sfumare l’iniziale tendenza alla narrazione a vantaggio di una più spiccata e intima liricità pittorica che propria nell’apparente banalità del contingente e del quotidiano trova il punto di approdo da cui inoltrare la propria ricognizione del presente. Un passaggio drammatico, quasi una morte e una resurrezione poetica, provocato dal giudizio che l’artista stesso ha espresso su tutte le opere nate da quella particolare “linearità di pensiero” che per anni ha coinvolto senza discontinuità mente, mano e mondo esterno. Tuttavia, l’autocritica di Colagrossi non rinnega né boccia il lavoro passato, ma si profila piuttosto come una necessità imposta dalla presa di coscienza dell’inadeguatezza delle passate dinamiche mentali, che hanno preceduto e sostanziato la prassi pittorica, rispetto alle nuove esigenze creative. “Sono arrivato alla considerazione che per essere estremamente moderni, al passo con i propri tempi, non bisogna fare altro che assecondare la propria interiorità e ascoltarla più della parte razionale della mente che pensa”, ha affermato in una recente intervista. Si tratta, di fatto, dell’elevazione della propria sensibilità emotiva a metro di giudizio proprio, se non addirittura unico. Una scelta che ha portato l’artista ad estremizzare la figurazione delle forme – ora risolte con gesti veloci e compendiari quasi nell’urgenza di esprimere una condizione esistenziale disperante -, a mollare gli ormeggi da certe eleganze compositive – sopraffatte da una matura indifferenza per il piacevole – e ad estendere il già ricco repertorio figurale.
Con i suoi quadri Colagrossi racconta l’acuirsi di un disagio, forte e attuale, provocato dalla perdita della centralità dell’uomo nella società contemporanea. Un disagio, questo si, vissuto con spietata lucidità e razionale consapevolezza, che ha alimentato nell’artista quel senso di irreversibile instabilità che si riscontra in molte sue tele. Scrive Colagrossi: “C’è un mutamento in me e fuori di me; tutte le cose si contraggono, si accorciano fino a diventare stenografiche. Gli scenari si fanno via via più scarni, essenziali, meno ampi, vari e variabili. Non c’è più tempo perché una cosa sia in rapporto con altre mille cose in sequenza logica e lineare; di volta in volta si delineano le articolazioni del caso e prenderanno la forma che solo in quel momento può determinarsi. Il dissidio che va generandosi è fra queste due realtà: una che cerca di tenere tutto legato insieme, in un tutto continuo tra passato presente e futuro, quindi in un arco ampio delle visione delle cose, l’altra, una frantumazione disarticolata e caotica del tutto”.
Indagata con la passata ricerca, la realtà del “tutto continuo” e rintracciato nella “frantumazione disarticolata e caotica del tutto” l’elemento nuovo e drammaticamente condizionante, l’artista ha corretto la rotta della propria indagine. Ma considerare le opere recenti di Colagrossi come un atto di denuncia verso un presente alienante – che attraverso l’esaltazione tecnologica e la conseguente accelerazione della velocità degli scambi sociali finisce con il “frantumare” e recidere ogni legame con il passato, anche quello più prossimo,e confinare l’uomo in una posizione periferica – sarebbe un errore grossolano. Infatti, non diversamente dall’indagine di altri artisti, che pure si muovono nell’ambito della figurazione e usano la pittura come strumento di analisi per esprimere le più intime reazioni alle aggressioni del presente, anche i quadri di Colagrossi vanno letti come “puntuali” testimonianze; appunti diaristici della quotidianità oltraggiata, trasfigurandosi, divengono istantanee di una sofferta condizione emotiva, visioni dal forte connotato lirico.
Nel sistema globalizzato, la tecnologia è al servizio della comunicazione che, a sua volta, in modo diretto (pubblicità) o mediato (messaggi subliminali) è funzionale alla creazione di esigenze effimere finalizzate al lancio e al consumo di sempre nuovi prodotti industriali. L’idolatria della merce, scalzato il millenario antropocentrismo, ha ridotto l’uomo alla penosa condizione di acritico consumatore, di Cosa tra le cose.
E’ per questo che nelle tele di Colagrossi, la figura, un tempo protagonista indiscussa del campo pittorico, ora viene spesso a confondersi con l’ambiente circostante, eclissata, in secondo piano dietro gli oggetti di uso comune o inserita, quasi come elemento accessorio,nelle rappresentazioni dei cartelloni pubblicitari in cui si celebra la liturgia del consumo.
Colagrossi registra quindi il trionfo dell’oggetto, della cosa, evidenziando però in esso quella cifra umanissima che può rintracciarsi nella “memoria” dell’oggetto stesso, ovvero nell’uso fattone dall’uomo. Ciò significa che nei quadri di questo artista, proprio attraverso le cose, l’individuo assume la valenza del soggetto sottinteso, quasi un’orma, una traccia di una presenza passata. Non di rado, gli oggetti che abitano gli instabili interni di queste tele si presentano in “caduta libera” – come i telecomandi e i posacenere che precipitano nel vuoto quasi fossero angeli ribelli puniti da un invisibile San Michele - o decontestualizzate, come i piatti che si frantumano oltre le finestre. Ma caduta e frantumazione, oltre a simboleggiare la certezza della precarietà del presente, rappresentano anche la possibilità di una nuova relazione tra “ciò che è sedimentato con ciò che è in via di formazione, di definizione”. Sono due imprescindibili fasi dell’eterno ciclo per cui tutto muta per ricostruirsi in forme nuove.

 

Conversazione con Angelo Colagrossi

Senso della precarietà, assenza di equilibrio, da qualche tempo nel tuo lavoro tutto sembra contenuto in uno spazio instabile che mi pare rappresenti una condizione esistenziale.
Come ho avuto modo di scrivere in occasione di una recente mostra, ho cercato sempre di far sì che ci fosse uno sviluppo lineare della pittura in rapporto al pensiero. Questa modalità, che ho seguito per tanti anni, ha impedito che la pittura coincidesse esattamente con quelli che erano i miei malumori, i miei stati interiori.
Alla fine, sono approdato alla considerazione che per essere nel proprio tempo, non bisogna fare altro che assecondare la propria interiorità, ascoltarla tanto quanto la parte razionale della mente che pensa. E’ necessario sentire l’istinto, gli umori, tutte le pulsioni, anche se ad un certo punto potrebbero evidenziarsi della contraddizioni delle cadute, nel mio caso la perdita dell’equilibrio appunto. Tutto questo, cercando di non sconfinare verso forme e segmenti dell’arte, per così dire astratti, per conservare quella riconoscibilità che garantisce in qualche modo una fruizione più immediata, senza rinunciare a quella libertà che corre il rischio di irrigidirsi appunto dentro una linearità che preordina le cose.
Quali suggestioni hanno favorito questo passaggio?
Mi sono reso conto di vivere a cavallo di una discontinuità del pensiero che da una parte guarda al passato e dall’altra si accorge dell’invadenza del futuro. Ora, siccome l’avvento della tecnologia ha modificato la vita almeno quanto la modificò la rivoluzione industriale, credo che la società si trovi di fronte a un cambiamento sconvolgente. Io, con i miei 40 anni, non riesco a vivere questi cambiamenti con la stessa disinvoltura di un ragazzo di quindici, che è nato in questa nuova dimensione e che si è nutrito prima ancora che del seno materno, delle telematica, di internet.
Eco quindi che io soffro la condizione dello “squilibrato”, non intendo del matto ma di un individuo che non sta più in equilibrio. Per cui la mia confusione, che adesso cerco di assecondare, finisce per coincidere con quella strana confusione che c’è all’interno della società e che è diventata prassi.
Tutto questo alimenta in te profonde inquietudini?
Certo. Fino a qualche tempo fa le cose erano tramandabili: alla fine di una vita lavorativa un artigiano era in grado di tramandare al figlio pari pari tutto quello che lui aveva fatto. Saper fare qualcosa era un tesoro che la famiglia travasava nel figlio. Gli attrezzi duravano più della vita stessa di chi li usava. Tutto questo è scomparso, non esiste più.
Oggi sei costretto a consumare persino la cultura. E sebbene la cultura non sia consumabile, tali sono le modalità di contatto con essa.
Sei costretto ad aggiornarti continuamente su nuove metodologie per cui ti rendi conto che partecipare al presente è possibile quasi esclusivamente attraverso la condivisione del consumo. In conseguenza di ciò il tempo si è abbreviato. Tutto sembra segmentato, i tempi di operatività delle cose si riducono, tutte le culture diventano specifiche. Ora in questa situazione io che cosa faccio? Non faccio altro che tradurre l’inquietudine che mi viene dalla memoria. Vale a dire che essendo nato in una generazione di mezzo, ricordo che in passato le cose erano fatte e pensate in un certo modo. Voglio dire che avverto e soffro tutta la mia differenza tra la mia realtà di formazione, diciamo di appartenenza, e quella attuale in cui tutto cambia in continuazione.
Quindi nei tuoi quadri traduci questo disagio per i continui cambiamenti in atto?
Sì. Questo grave senso di instabilità è la condizione entro la quale mi muovo io e ci muoviamo tutti, non credo di dire niente di nuovo. In realtà non faccio altro che dipingere tutto quello che vedo senza preoccuparmi di tenerlo legato ad un filo lineare e logico. A questo punto, qualunque oggetto, anche un sacco dell’immondizia, rivela una quantità di cose e di storie da raccontare. Tutto può essere fruito, anche un pezzo di carta strappato. Allora io non mi preoccupo di iniziare a dipingere una storia che ha un inizio e un centro, ma dipingo precisamente quello che vedo nel momento e nella modalità in cui mi appare. Sono cose che si sommano ad altre senza metro, senza precise coordinate spaziali, cose che non c’entrano nulla fra loro, ma che però poi, riviste insieme all’interno della superficie dipinta, possono ricostruire l’ipotesi di una storia, oppure possono essere lette singolarmente. Ognuno, forse, può riconoscere in un piccolo frammento di queste immagini qualcosa che lo interessa o qualcosa che lo ricollega a qualcos’altro, io non lo so. In fondo io dipingo me. Le immagini diventano sovrapposizioni di forme.
Assecondando questa mia pulsione interna, credo di essere vicino a molte esperienze della vita, prima fra tutte quella del bombardamento di immagini cui siamo sottoposti quotidianamente, immagini che se tu vai ad analizzare, una per una, in molti casi non dicono o non raccontano nulla, ma viste in sequenza ti danno l’impressione, di percepire un senso complessivo. Ecco probabilmente questi quadri hanno questa possibilità di lettura.
Qual è l’obiettivo della tua pittura?
Una volta pensavo che la pittura dovesse essere un percorso ragionato, in rapporto stretto con la mente che pensa, ecco, io oggi questo non lo credo più. Credo invece che a dipingere senza un percorso pianificato si possono fare cose più interessanti.
Mi interessa vedere cosa accade sovrapponendo immagini con leggerezza, così come nella mente, si sommano l’una all’altra.
Mi sembra ci sia una contraddizione tra l’analisi, attenta e pronta, della società presente e questa volontà di ricercare, in pittura, la leggerezza.
Non credo, penso che questa “leggerezza” sia una conseguenza diretta della realtà contemporanea, che privilegia forme di comunicazione semplificate e per quanto mi riguarda questo termine non sta ad indicare superficialità, ma libere rappresentazioni di cose, oggetti, figure, non legate fra loro da un impianto logico, ma analizzabili indipendentemente le une dalle altre o, in una visione complessiva più casuale.
L’osservazione mi è venuta dal fatto che, specie per chi lavora nel contesto della figurazione, c’è sempre stata, e certamente c’è ancora, la possibilità di percorrere anche la strada dell’impegno sociale. Vale a dire una pittura che abbia anche valore di critica sociale e che quindi, in qualche modo, chiama in causa l’artista imponendogli una precisa scelta di campo. Ora ti chiedo: rispetto al presente che hai tratteggiato, ti senti un apocalittico o un integrato?
Io non dipingo pensando di criticare o di giustificare delle cose; dico invece che mi trovo nella condizione per cui non capisco bene dove stiamo andando. Dico inoltre che il vecchio non ha più diritto di cittadinanza nell’oggi, che si è perso il rapporto passato-presente-futuro perché c’è solo quello che viene fatto e consumato immediatamente. Per cui probabilmente non mi pongo, in maniera critica verso questa situazione, semmai la vivo all’interno di uno spaesamento. Certamente posso dirti che la mia condizione è quella di chi non sa bene cosa fare, che poi è la condizione della grande confusione.
Può darsi che questi quadri possano essere letti come una forma di critica, ma in realtà nascono dalla mia incapacità di capire e di entrare completamente nel nuovo. La pittura è al di fuori della politica, nasce dall’uomo ed è per gli uomini. Ognuno la consuma come vuole e come può. Certo che di fronte a un cambiamento epocale tanto grande, il senso di disorientamento aumenta.
Spesso nei tuoi quadri di interni compaiono delle finestre. Che rapporto stabilisci tra interno ed esterno?
Come ti ho detto voglio pensare meno e dipingere quello che vedo intriso di grandi suggestioni, quindi, volendo lasciare alle suggestioni il ruolo dominante, interno ed esterno sono quasi confusi uno nell’altro. Questa libertà, che nella composizione appare come una mancata definizione di ciò che sta fuori o che sta dentro – perché quello che sta dentro potrebbe anche stare fuori, come il piatto per esempio-, è data soltanto da un movimento mentale. Vale a dire che la mente si muove come un ipertesto, con associazioni sue proprie. In passato io ho dipinto una finestra con quello che conteneva e questo contenuto era fuori. Oggi, invece, dipingo come se la tela fosse uno schermo piatto sul quale le cose scivolano via, cadono velocemente; interno ed esterno non esistono più, così come l’immagine statica. Tutto si muove. Le cose è come se cadessero o se passassero o se giocassero, per cui tu sei di fronte allo scorrere di oggetti indefiniti nella loro posizione. Questo accade perché non definisco quasi nulla dentro la mia testa anche se, naturalmente, l’ossatura del quadro mi impone di dominare la forma. Io non credo che si possa inibire la propria sfera razionale. E’ normale, quindi, che rimanga un dominio della forma, una strutturazione, una sintassi all’interno del quadro. In fondo l’architettura delle cose è insita nella nostra natura. L’uomo, facendo associazioni di pensiero libere aveva una forma ipertestuale della mente prima della comparsa del computer. Tuttavia queste associazioni tracciano sempre delle architetture.
Rispetto ai quadri di qualche anno fa hai cambiato anche il modo di rappresentare la donna. Oggi dipingi una donna con una sensualità di segno diverso. In passato, anche nelle scelte cromatiche, la carne era carne, ora sembra materie inorganica. Con questo passaggio le tue figure femminili affidano la loro sensualità quasi esclusivamente alle posture che assumono e alle linee vagamente matissiane che, in qualche caso, ne definiscono i profili. Sostanzialmente, però, si sono trasformate in oggetti inanimati al pari delle sedie, dei piati e dei telecomandi…
Questa dimensione così evoluta della tecnologia nella società sembra orientarsi verso la costruzione di una universo nuovo, che pur essendo nato da noi, perché lo produciamo noi, di fatto è altro da noi. Ora questo universo tecnologico è diventato la misura di tutte le cose al nostro posto. Io continuo a pensare che sia ancora l’uomo il metro universale. Però l’uomo che io dipingo – che in genere è una donna- è una figura che sta acquisendo sempre meno valore rispetto a questa nuova dimensione della società e quindi finisce per diventare una cosa secondaria. In questo modo l’essere umano, insieme a tutti gli altri esseri genera una specie di brulichio informe che annulla l’identità di tutto quello che assorbe, per cui io dipingo delle figure che si frantumano allo stesso modo degli oggetti. Il piatto rotto che dipingo potrebbe rappresentare oltre che il mio universo, anche il cambiamento di un’epoca, cioè la fine di uno sviluppo che fino alla fine dell’800 è sembrato essere uniformemente accelerato. Mi hai chiesto della figura femminile. Bhe la figura che rappresento è una figura, direi quasi stupida, che sta buttata lì come fosse priva di reazione. E’ un po’ come il mio stordimento la mia confusione..La mia incapacità di capire il mio tempo mi fa sentire stupido e quindi diventano stupide anche le figure che dipingo; sono lì e basta, ma certo hanno perso qualcosa della loro umanità
Da quello che dici devo dedurre che anche il ciclo dei campi magnetici è una conseguenza di questa tua riflessione sulla tecnologia?
Direi proprio di sì. Una volta ho dipinto un quadretto che ho intitolato Tra le onde. A guardarlo bene, mi sono accorto che le onde erano puri e semplici movimenti della pittura. Poi, ragionandoci sopra ho capito che ciò che avevo rappresentato non erano proprio le onde marine. Così ho cominciato a pensare alle onde elettromagnetiche che attraversano tutto. Nei lavori successivi ho ripreso a lavorare sulla figura e le onde e anche se queste non erano visibili, le consideravo come presenza tangibile. Allora, a quel punto, mi sono chiesto: ma siamo davvero soli? In realtà siamo vicini a tante cose e questa solitudine è allo stesso tempo vera e falsa perché, almeno virtualmente, siamo, come dire, continuamente in comunicazione con tutto. In realtà siamo tutti fra le onde.
Quando dipingi la figura e usi degli ocra, in più di un caso ho ritrovato la freschezza del Pirandello intimo di certi bozzetti.
Mi fa piacere. Fausto Pirandello è uno dei pittori che amo e ho ammirato. A me piace sapere che qualcuno sia in grado di leggere un quadro e dire che c’è un vincolo, un legame con la ricerca di qualcun altro. Spesso però i critici che mi hanno presentato hanno evidenziato certe analogie, certe influenze – di cui io sono andato sempre fiero – come se fossero tumori. Io, essendo di mezza età. Non essendo cresciuto ad hamburger, patatine e computer e avendo anche studiato la Storia dell’Arte so bene che le cose nascono dalle cose. Non si può prendere un giovane medico, anche se ha studiato tutto quello che concerne la chirurgia, e metterlo ad operare su un essere umano se prima non gli si consente di fare delle esperienze con qualcuno che gli fa vedere come si fa. Allora io penso che dei buoni padri siano sempre dei buoni padri quando si è giovani. C’è anche da dire che dalle avanguardie storiche si è generato nella società un pensiero intorno al pittore che secondo me non è accettabile. Mi riferisco al concetto di originalità. Se non inizi da subito a venti anni con una soluzione che ti pone all’attenzione delle critica e del pubblico come un artista unico, che ha trovato una soluzione unica, distinguibile fra tutte, non sei nessuno e hai sbagliato tutto. Io credo che questa sia una concezione sbagliata. Un artista trova la propria dimensione strada facendo e potrebbe pure non trovarla mai, ciò che conta è la necessità costante di aderire a se stessi, mangiarsi, digerirsi. Ricordo che quando frequentavo l’Accademia di Belle Arti c’erano molti ragazzi che dipingevano e scolpivano guardando riviste d’arte, non soltanto nel tentativo di essere moderni, scopiazzando codici di successo, ma soprattutto correndo per una soluzione di fortuna. Le soluzioni di fortuna non sono mai fortunate e la botta di culo può trovarla Francis Bacon, ma è un’altra cosa perché la trova dentro di se tra le ferite e le pieghe della sua diversità dove il rapporto con il senso comune non esiste, quindi altro che botta di culo. Oggi, non credo che per essere un pittore visibile e avere una collocazione – ammesso che una collocazione sia indispensabile – sia necessaria l’originalità intesa come unicità a tutti i costi: dopo la “Merda” di Manzoni in tal senso che cosa vuoi più fare?